Carlo Ghiglietti, fondatore di .zeroenvironment, è uno degli esperti più sinceri e credibili di economia circolare in Italia. Noi lo abbiamo conosciuto attraverso uno dei podcast che apprezziamo di più in assoluto, Pensa Circolare, e spontaneamente è nata una chiacchierata telefonica, che solo in corso d’opera abbiamo deciso di registrare. Questa intervista fa un po’ di chiarezza sui concetti di sostenibilità e di economia circolare, sulle opportunità per le aziende e su un’Italia ancora molto indietro rispetto agli altri paesi europei.
Chi è Carlo Ghiglietti?
Da molti anni mi occupo di ambiente. Ho avuto la fortuna di iniziare il mio percorso professionale in una delle aziende più innovatrici che ha avuto il nostro paese (ECODECO), circa 30 anni fa e di non avere avuto un capo, ma un mentore, che ora è un grande amico. Da lui ho appreso il senso della curiosità e dell’innovazione, che da allora mi porto dentro e che di tanto in tanto cresce e mi aiuta a sviluppare nuove idee e progetti. Sono appassionato di sport outdoor e innamorato della montagna e della mia bici Gravel, uno dei motori più affidabili per lo sviluppo delle mie idee. Sono marito e padre di due incredibili esseri, il senso di tutti gli sforzi!
Se tu dovessi dare una definizione di economia circolare per aiutarci a capire che cos’è oppure che cosa non è?
Parto da cosa non è: l’economia circolare non è assolutamente riciclare. L’economia circolare è una visione, è una modalità che ha per primo pilastro quello di non creare scarti. Noi non dobbiamo creare scarti: questo vuol dire che dobbiamo pensare all’ecoprogettazione, cioè a dove finirà il prodotto una volta terminato il suo uso. Dobbiamo pensare a quanto questo prodotto impatta sull’ambiente per cercare di mitigare o di compensare la quantità di CO2 prodotta per realizzarlo. Adesso in molti paesi le progettazioni sono orientate al “cradle to cradle”, dalla culla alla culla; vuol dire che tutto ciò che faccio deve ritornare alla terra, non è banale ma è fattibilissimo.
Se dovessi consigliare un paese a cui guardare perché è un buon esempio?
Dico quello che dicono tutti, cioè l’Olanda. L’Olanda è il paese più avanzato in questo ambito, non tanto perché lavora sulla sostenibilità quanto invece per la capacità incredibile di coinvolgere tutti gli stakeholder sui progetti, è un grande grande pregio. Infatti la bioeconomia è una loro prerogativa, Amsterdam è riconosciuta come un modello di economia circolare, non solo per la gestione dei rifiuti ma per la compensazione, piuttosto che la logistica inversa e la responsabilità estesa del produttore.
E poi il Regno Unito che con MacArthur Foundation ha consolidato delle pratiche che esistevano già, anche loro sono molto avanti. A ruota vengono tutti e alla fine arriviamo noi.
Perché l’Italia è così indietro rispetto ad altri paesi europei?
L’Italia è un paese dove il tessuto principale è fatto da piccole medie imprese che per lo più faticano a recepire i concetti dell’economia circolare. Sviluppare un processo all’interno dell’azienda diverso da quello tradizionale vuol dire metterci impegno, energia e quattrini. Infatti, quando io lavoro con le piccole e medie imprese il mio approccio è quello dell’advisor più che del consulente. Il mio compito non è far raggiungere un obiettivo al cliente e poi andarmene. Le aziende hanno bisogno di una figura competente che le prenda per mano e le segua passo per passo.
Il problema delle piccole aziende è che non sono formate per cogliere le opportunità che possono nascere seguendo un percorso di sostenibilità o di economia circolare.
Tutt’altro discorso va fatto invece per le grandi imprese italiane, che sono molto più strutturate ma sono anche un numero molto limitato rispetto alle PMI.
Quali sono, secondo te, le cose da fare per aiutare le aziende a credere in una economia più sostenibile?
Ci vuole secondo me una grande azione di comunicazione verso l’economia circolare. Bisogna far sapere. Mi capita spesso di chiedere agli imprenditori “sapete qual è il vostro impatto sull’ambiente?” e il più delle volte la risposta è “no, noi facciamo un prodotto, quello che succede dopo non è affar nostro”. Ma non funziona così.
Secondo me il vero valore è avere e comunicare una visione olistica dell’economia circolare, invece troppo spesso viene interpretata solo come gestione dei rifiuti, gestione dello scarto, ma è una visione sbagliata e riduttiva.
Conta anche il come comunicare, noi puntiamo più sul coinvolgimento che sulla “lezione”. Non credi?
Sicuramente. Io penso che dobbiamo cercare dei modelli comunicativi diversi perché se noi pensiamo di raggiungere le imprese sempre con i soliti workshop e webinar non riusciremo mai a rientrare. Si possono organizzare degli hackathon interni, ad esempio, ci vuole qualcosa che faccia sentire le persone coinvolte in un progetto di sostenibilità e di economia circolare, se no diventa tutto molto complicato.
Le nostre università sono pronte per formare esperti di queste tematiche?
In Italia ci sono dei master post-università, all’estero invece esistono dei corsi universitari, per esempio la MacArthur Foundation collabora con l’università di Londra.
Il management italiano non è assolutamente preparato, risponde a degli obiettivi che sono sempre quantificati in quattrini o contratti. Bisogna fare un salto di qualità, cioè avere un management preparato a raggiungere degli obiettivi sapendo che c’è un mondo esterno.
È necessario creare figure nuove e formate su questi temi perché in molte aziende l’innovation manager si occupa di altro, non della sostenibilità.
Come aiutare le imprese più piccole ad abbracciare questa trasformazione, affiancando le esigenze profit ai valori di responsabilità sociale?
Anche questa è una bella sfida. In effetti le piccole e medie imprese hanno questa necessità e ce l’avranno sempre di più nel prossimo futuro. Non basta più creare un prodotto o un servizio che sia sostenibile, le aziende devono sforzarsi di guardare il territorio che le ospita.
Le amministrazioni devono coinvolgere gli stakeholder che insistono su specifici territori per lavorare insieme allo sviluppo di quell’area. È un errore lasciare in disparte le imprese in questo senso, dobbiamo essere meno scollegati e più sistemici.
Tu dici sempre che bisogna creare una storia diversa rispetto al territorio che ospita l’azienda. Come si fa?
A me piace far capire all’imprenditore che lui è un ospite sul territorio e spesso e volentieri non abita nel luogo in cui si trova l’azienda.
L’obiettivo è quello di impattare meno sull’ambiente ma, per quanto virtuosa, un’azienda ha comunque un impatto residuo e parlando con gli imprenditori spesso riusciamo a capire che cosa possiamo fare sul territorio per compensare quell’impatto residuo. Banalmente alcuni imprenditori hanno sistemato delle aree gioco per bambini, altri hanno riqualificato delle foreste facendo degli agreement con associazioni specifiche, altri ancora portano avanti progetti per i bambini che necessitano di essere più seguiti a scuola o negli asili.
Io nel mio prossimo podcast regalerò un albero al mio ospite, ad esempio. I server che utilizzo per il mio lavoro consumano energia e così ho deciso di compensare creando una foresta a zero environment in collaborazione con ZeroCO2. Anche se sono piccolo cerco di dare il buon esempio.
Noi insistiamo sul valore della comunicazione interna, quanto pesa a tuo avviso il coinvolgimento delle persone in azienda?
È fondamentale perché non ci si può inventare come aziende sostenibili facendo solo pubblicità. Bisogna che questo cambio di paradigma inizi dalle persone che sono dentro l’azienda.
Le persone in un’azienda sostenibile devono essere degli ambasciatori e devono esserlo anche fuori dall’azienda, ovunque si trovino. È questa la cosa fondamentale. Bisogna che tutto parta dalla comunicazione interna. Poi c’è la comunicazione esterna che non va certamente trascurata. Io dico sempre ai miei clienti, ma scusate ma perché nel vostro sito non c’è una pagina Sostenibilità? E mi rispondono “perché noi non facciamo niente”, ma non sempre è così. È importante comunicare ogni minimo sforzo o magari l’obiettivo su cui state lavorando.
Ai nostri clienti noi diciamo sempre che le cose si fanno un passo per volta….
Dici bene, troppo spesso viene proposto un obiettivo molto elevato e molto costoso. È meglio porsi obiettivi molto raggiungibili perché la sostenibilità non è solamente ambientale ma è anche economica, se dici a un’azienda che deve cambiare l’intero ciclo produttivo, si arrende in partenza.
Qual è il tuo segreto per mantenere alta la motivazione?
So che è la strada giusta. Non è facile perché noi siamo indietro 15 anni su queste tematiche, ma ho la fortuna di collaborare con l’estero dove il mio pensiero è più che condiviso.
Progetti futuri?
Sto preparando un altro podcast che spieghi le parole chiave dell’economia circolare. Ho chiesto ai miei ospiti di raccontarmi in 2 minuti per esempio che cos’è un servizio ecosistemico oppure cosa si intende per circolarità dell’acqua, cioè tutte cose fondamentali su cui spesso la gente fa confusione. È un’idea semplice che mi è venuta in mente mentre pedalavo…
Potete trovare altri esempi validi sul tema della sostenibilità e dell’economia circolare nelle recenti interviste a Francesca Lanocita di Biomatto e a Michele Martinotti di Too Good To Go.