Intervista Andrea Pesce, fondatore di zeroCO2, la startup sulla riforestazione ad alto impatto sociale

13 Novembre 2020 Sottosopra comunicazione

Intervista Andrea Pesce, fondatore di zeroCO2, la startup sulla riforestazione ad alto impatto sociale

Andrea Pesce si occupa di sostenibilità ambientale, di educazione e di innovazione dividendosi tra Italia e Sud America. Quando lo senti parlare ti dimentichi dei suoi 26 anni e ti lasci guidare dalla concretezza dei suoi ideali. Andrea è il fondatore di zeroCO2, una startup che si occupa di riforestazione ad alto impatto sociale in molti paesi nel mondo ed è fondatore della Onlus Comparte che si occupa di educazione e innovazione scolastica. Lo abbiamo conosciuto qualche settimana fa e anche noi siamo stati conquistati da quel vortice di passione che ha obiettivi ben chiari: superare ogni divisionismo e concepire il mondo come un unico ecosistema più etico e sostenibile.

Raccontaci cos’è ZeroCO2.
Attraverso la riforestazione, ZeroCO2 si occupa di declinare la sostenibilità a 360°. Non siamo dediti solo all’ambiente o alla CO2, siamo soprattutto persone. Alla base del nostro lavoro c’è un forte valore ambientale e sociale. Ci siamo inventati quella che ad oggi è la più evoluta tecnologia di tracciamento nel nostro settore a livello mondiale; si chiama Chloe e permette di monitorare la crescita di ogni albero che piantiamo in giro per il mondo. Questo ci permette di dimostrare alle aziende e ai consumer che gli alberi li piantiamo per davvero. Praticamente decliniamo la sostenibilità su cose concrete. Reclutiamo donatori, piantiamo alberi e li doniamo a comunità contadine. Ma non ci fermiamo qui, poi torniamo in queste comunità e le formiamo sull’agricoltura organica, facendo educazione su uno sviluppo sostenibile. Lavoriamo molto in termini educativi in Guatemala, Amazzonia peruviana, Argentina e in altre regioni del Sud America.


Siete molto attivi anche in paesi più vicini, raccontaci della vostra esperienza in Italia.
In Italia siamo attivi con diversi progetti, alcuni in partnership con organizzazioni del territorio e altri con cooperative sociali. Per esempio a Trieste collaboriamo con una cooperativa sociale che concentra i suoi progetti nell’agricoltura organica dando lavoro a persone con passati complicati. Ma l’Italia non ha tutto questo bisogno di nuovi alberi, ha piuttosto bisogno che si gestisca il patrimonio forestale del nostro paese. Siamo pieni di foreste ma sono povere, nessuno se ne prende cura.
Tra l’altro, considera che in Italia un albero costa a un’azienda tra i 35/40 euro mentre in Guatemala costa 6/7 euro, quindi puoi immaginare che lo stesso budget rende di più in Sud America in termini di quantità di alberi piantati.


Cosa deve fare un privato o un’azienda che vuole donare un albero?
Per il privato è molto facile, va sul nostro sito dove c’è un e-commerce, sceglie l’albero che preferisce e a chi lo vuole regalare, e poi c’è tutto un sistema di aggiornamento personalizzato che informa il donatore sui momenti più importanti della crescita dell’albero.
Lato azienda abbiamo più di 150 clienti per i quali abbiamo studiato progetti ad hoc. Per i clienti business cerchiamo di personalizzare al massimo i nostri servizi in base agli obiettivi di ogni singola realtà. Suggeriamo sempre di iniziare con un approccio scientifico quindi magari uno studio di LCA (Life-Cycle Assessment) quando è possibile, o comunque proponiamo una strategia dove la parte scientifica sia sempre presente. Dopodiché strutturiamo insieme la collaborazione.


Tra l’altro, il bello del vostro progetto è che è immediato e facile da comunicare.
Il nostro è un servizio facilmente comunicabile perché è misurabile. Facciamo l’esempio di una maglietta: ho fatto uno studio sul suo impatto ambientale e poi posso dire che ho compensato le emissioni di CO2 necessarie a realizzarla piantando un determinato numero di alberi.

Un progetto come questo mette insieme comunicazione, CO2 e sostenibilità. Le aziende con più di 500 dipendenti hanno l’obbligo di fare il bilancio di sostenibilità e spesso non sanno cosa metterci perché da noi la sostenibilità non è ancora un valore da sfruttare. Quindi capita anche che ci contattino per supplire alla mancanza di contenuti sul bilancio di sostenibilità.

ZeroCO2 Albero | Sottosopra Comunicazione bike friendly
Raccontaci di qualche iniziativa realizzata recentemente e di cui andate fieri.
Uno su tutti Flowe, una digital bank lanciata dal Gruppo Mediolanum che con noi pianta un albero per ogni carta di credito in legno emessa. Tutto il tracciamento Flowe è integrato nella loro app quindi l’utente può vedere in tempo reale lo stato del suo albero. Siamo molto sintonizzati con i ragazzi e le ragazze di Flowe perché credono davvero nella sostenibilità. Con un’azienda del nord Europa hanno anche sviluppato un coefficiente che traduce la spesa in euro in CO2 emessa, quindi tutte le emissioni generate dagli acquisti di tutti gli utenti Flowe vengono bilanciate grazie a un progetto di compensazione che stiamo portando avanti in Guatemala.
Un altro esempio è quello di Almaviva, una bellissima multinazionale italiana che ha piantato un albero per ogni dipendente della sua sede romana, sono 5000 dipendenti e ha voluto omaggiare tutti i dipendenti in questo modo.
Un albero verrà regalato a ogni partecipante di un evento Google che si terrà a Milano. Tre progetti completamente diversi con obiettivi completamente diversi ma tutti e tre molto validi.


Sei d’accordo sul fatto che queste attività siano un ottimo punto di partenza per le aziende che intendono avvicinarsi alla sostenibilità e non un modo per lavarsi la coscienza?
Esattamente d’accordo. Quello che noi offriamo è uno dei primi passi verso la sostenibilità. Il primo passo è la presa di coscienza di che cosa vuol dire fare sostenibilità. La sostenibilità non si riduce solo a piantare un albero, scegliere di andare in bicicletta, fare delle scelte più consapevoli, è molto di più, è un ecosistema. La sostenibilità si deve riflettere nei diritti dei lavoratori ad esempio, nella scelta dei propri partner, dei propri fornitori, sull’ottimizzazione di alcuni processi produttivi.
La parola ecosistema, che viene usata troppo poco, secondo me gioca un ruolo fondamentale: la sostenibilità si inserisce in questo ecosistema per renderlo circolare e quindi possibile nel futuro. Bisogna cercare di declinare la sostenibilità a livello pratico, è finito il momento di dire dobbiamo iniziare a pensare a come risolvere… no, dobbiamo agire, sbaglieremo magari e faremo esperienza, intanto però facciamola questa esperienza altrimenti non ci muoveremo mai.


Noi diciamo che la trasformazione sostenibile è un lento processo che può portare tantissima energia ed entusiasmo all’interno dell’azienda. Non va visto solo come una scocciatura ma può essere un cambiamento molto motivante e aggregante.
E’ così, noi ne abbiamo avuto riscontro. Le aziende che hanno lavorato con noi hanno un feedback pazzesco dai propri dipendenti. Piace perché si sentono parte di un progetto che li identifica maggiormente. Ormai a livello europeo, siamo tutti convinti che dobbiamo salvarlo questo pianeta. Quindi quando fai queste attività, i dipendenti reagiscono con grande interesse e passione.


Tu pensi che le aziende italiane saranno capaci di incarnare questo nuovo modello d’impresa?
La verità è che sono molto deluso. Negli ultimi 7 anni ho vissuto poco in Italia, ho studiato all’università di Bologna ma ho fatto vari Erasmus e poi ho lavorato alla Commissione Europea, in Africa, Inghilterra, America Latina, insomma ho girato molto. Vivendo in 7/8 paesi, ho avuto modo di vedere i diversi approcci al futuro e all’innovazione ma soprattutto ai giovani. In Italia le aziende sapranno raccogliere questa sfida, come sempre in questo paese, a tante velocità diverse, non c’è un’Italia che si muove insieme, c’è un’Italia che si muove a migliaia di velocità diverse. Noi ci scontriamo con imprenditori che ci chiedono “ma scusa perché la mia azienda dovrebbe diventare più sostenibile?”. Io all’inizio mi sforzavo di rispondere con argomenti e idee, adesso rispondo che è sufficiente aprire qualunque testata online, programma televisivo o radiofonico per trovare le parole ambiente e sostenibilità. Se vuoi adottare questo modello perché ci credi, meglio. Viceversa, adottalo comunque perché te lo richiede il mercato.

Prima o poi ci devono arrivare anche le aziende italiane…
Io sono molto deluso dall’approccio che c’è in Italia verso la sostenibilità e dal fatto che se sei giovane ti fanno la guerra. E poi sono gli stessi che si lamentano che i giovani vanno a vivere a Berlino, città candidata numero uno dove andare a vivere non appena la pandemia me lo permetterà.
Io sono studioso di storia contemporanea quindi è stato sempre un mio grande interesse capire in che direzione andasse il paese dove sono cresciuto, a dire il vero speravo in qualcosa di meglio. Certo, continuiamo a fare buonissime pizze e ad avere un bel mare ma a me, personalmente, a 26 anni questo non basta. Ci posso venire in vacanza ma nient’altro. Comunque io continuo a provarci perché ZeroCO2 rimane in Italia.


Il cambiamento sostenibile da qui ai prossimi anni sarà obbligatorio per tutte le imprese. A questo punto le aziende possono decidere se essere leader del cambiamento, followers oppure quelli che lo subiscono tardivamente rimanendo esclusi dal mercato.
È esattamente quello che penso anch’io, perché non basterà più avere belle idee, bisognerà essere innovativi e sostenibili. L’italiano secondo me è per natura estremamente innovativo e creativo, adesso deve aggiungere la variabile sostenibilità che può sembrare una scocciatura ma già sul breve periodo, per un imprenditore, è una risorsa gigantesca anche dal punto di vista del fatturato.


Hai mai pensato che non ce l’avresti fatta? O che i tuoi progetti non fossero poi realizzabili?
Sì tantissime volte, però il mio valore aggiunto è che faccio una cosa che mi piace. Tutte le volte che sono andato a sbattere contro un muro ho cercato di rialzarmi perché parallelamente in Guatemala stavamo già piantando alberi e supportando comunità. Questa evidenza mi ha sempre dato e continua a darmi l’energia per andare avanti anche nelle giornate più complicate.
Ed è il valore aggiunto di tutta ZeroCO2, io ho la fortuna enorme di lavorare con persone che sono entrate in ZeroCO2 e l’hanno portata avanti come un progetto di vita nel quale credono. E poi con Virgilio abbiamo trovato una partnership lavorativa di estrema qualità, lui è un ragazzo del Guatemala laureato in pedagogia, è una persona estremamente brillante con la quale io ho potuto fare subito qualcosa di concreto.
Quindi è grazie a questo entusiasmo che continuiamo a essere ottimisti.


Andrea secondo te il mondo ce la farà a riscattare la questione climatica?
La mia risposta è sì, andiamo tutti nella direzione giusta. L’Europa sta facendo passi giganteschi, poi tutti possiamo dire che non basta, vabbé lo diremo sempre, ma tutto il mondo sta affrontando questo tema, tanto i paesi con un’economia fragile quanto i paesi con economie più strutturate.


Qual è la più grande ambizione di Andrea Pesce oggi?
Cercare di arrivare a 10 milioni di alberi piantati in tutto il mondo prima dei 30 anni. Devo darmi da fare, ne ho già 26! Magari ci riusciamo dai, per essere il primo anno ne abbiamo piantati già 200.000.

 


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