La sostenibilità è donna, perché siamo più abituate a guardare al futuro – Intervista ad Ada Rosa Balzan

7 Ottobre 2020 Sottosopra comunicazione

La sostenibilità è donna, perché siamo più abituate a guardare al futuro – Intervista ad Ada Rosa Balzan

La sostenibilità è donna, perché siamo più abituate a guardare al futuro”,

Con questa frase, Ada Balzan ha concluso una delle interviste più interessanti realizzate fino a oggi sul blog di Sottosopra Comunicazione.
Founder e CEO di AR Balzan, Ada è una donna decisa, pragmatica ed estremamente preparata.
Il suo team, i Sustainability Lovers, da oltre 20 anni è il punto di riferimento sulla sostenibilità integrata e ha dato vita a una startup innovativa per guidare le società a ridisegnare un progetto di sviluppo sostenibile per contribuire a migliorare il mondo.
Nel corso della nostra chiacchierata ha fatto chiarezza sul concetto di sostenibilità, con consigli e idee per tutte quelle aziende che hanno deciso di muoversi in questo senso.

 

Tutti parlano di sostenibilità ma quanti ne conoscono il vero significato?
Bisogna subito togliere dei dubbi perché soprattutto nel nostro paese spesso si pensa che la sostenibilità sia sinonimo solo di aspetti ambientali, ma è riduttivo. La sostenibilità correttamente intesa ha tre anime: ambientale, sociale, di governance (ESG). Sono i tre criteri che abbiamo iniziato a conoscere nella finanza sostenibile ma che stanno diventando la metrica per qualsiasi prodotto e servizio. Oltre a questi, ci sono i 17 nuovi obiettivi delle Nazioni Unite contenuti nell’Agenda 2030, che sono definiti SDGs (Sustainable Development Goals), obiettivi di sviluppo sostenibile. L’insieme è un tema molto articolato, ma comunque applicabile dalla microimpresa come dalla grande impresa, non è vero che è un tema dedicato solo alle multinazionali.
Le aziende italiane sono molto forti sugli aspetti sociali e di governance, senza saperlo. Non è raro che applichino la sostenibilità senza conoscerne la definizione corretta.

 

Tu hai creato un sistema che valuta in maniera scientifica la gestione della sostenibilità integrale delle aziende. Di cosa si tratta?
Con il mio team abbiamo creato SI Rating, che significa Sustainability Impact Rating: è un sistema di rating che calcola la gestione della sostenibilità in una organizzazione  e ad oggi è il primo al mondo che si basa solo su strumenti internazionalmente conosciuti validato da RINA in collaborazione con SASB . L’algoritmo elabora oltre 80 mila miliardi di combinazioni e raccoglie su una piattaforma tutti gli strumenti sulle misurazioni ambientali, sociali e di governance e sui 17 obiettivi delle Nazioni Unite. Questo algoritmo si adegua a tutti i tipi di impresa. Lo dico con orgoglio, noi abbiamo realtà con una sola persona che hanno fatto SI Rating, come realtà con 80 mila dipendenti. Di fatto questo è l’unico sistema che si rivolge alle micro imprese e alle grandi realtà, e a tutti i settori. La clusterizzazione del settore di appartenenza è molto importante, perché ogni settore ha caratteristiche ed esigenze proprie.

Una volta valutate le performance dell’azienda, SI Rating fornisce una strategia personalizzata con i suggerimenti per migliorare l’impatto.

 

Secondo te le aziende in questo momento sono davvero sensibili nei confronti della sostenibilità o è più una moda?
Prima del Covid-19 poteva essere un tema sentito in modo light, adesso invece ci siamo davvero interrogati su come pensare a un nuovo modo di fare azienda. Ho visto molte aziende durante il Covid dire “voglio ripartire in modo differente”. Secondo me ora c’è la reale intenzione di ripartire dalla sostenibilità, ma è fondamentale far capire cos’è e come metterla in atto correttamente.

E soprattutto, prima è necessario compiere delle azioni concrete e solo dopo comunicarle. 

 

Perché un’azienda dovrebbe impiegare un piano di sostenibilità nei processi di sviluppo? E perché includerlo nelle strategie di marketing e comunicazione?
Prima di tutto perché è un elemento strategico di business: chi integra la sostenibilità ha un’ottimizzazione della gestione del suo business, una riduzione dei costi, un maggior controllo dei processi e poi, importantissimo, sostenibilità è gestione dei rischi. In quest’ultimo caso, in situazioni di emergenza (es. Covid) è in grado di garantire la business continuity: si parla infatti di impresa resiliente, ovvero l’azienda capace di reinventarsi anche in situazioni estreme.
È anche importante per la brand reputation, pensate che secondo l’ultima ricerca del Reputational Institute, il 40% del valore reputazionale di un brand è dato dalle sue scelte di sostenibilità. E poi può contribuire a creare un consenso diffuso negli stakeholder, cioè tutti i portatori di interesse dai dipendenti, ai fornitori, ai clienti, ma anche negli shareholder, che sono gli azionisti se parliamo di aziende più strutturate.

La comunicazione ha un ruolo fondamentale perché è il passo successivo per raccontare cosa si è fatto. E’ essenziale basarsi sui criteri oggettivi, per raccontare quanto si unisce ai 17 obiettivi delle  Nazioni Unite, come la trasparenza e la condivisione dei dati, io non posso dire che impatto meno, devo spiegare perché impatto meno, come ho misurato questo dato, portando sempre delle evidenze oggettive.

 

Quali sono le difficoltà che un’azienda deve affrontare in un percorso verso la sostenibilità?
È sicuramente un cambio di visione della propria azienda, non si può fare sostenibilità una tantum. Quando si fa un progetto di sostenibilità bisogna avere una logica di lungo periodo, si analizzano e si mettono in discussione tutti i processi.

L’azienda deve essere pronta a un grande passo che porterà a molti cambiamenti tra cui una nuova visone anche di se stessa nel mercato

 

Quando un’azienda decide di fare questo passo, secondo te, nella scelta pesa di più l’etica o l’opportunità economica offerta?
Dipende da quanto credono nella sostenibilità. Alcune realtà sentono necessario fare questo percorso, altre vi si approcciano perché vedono una convenienza economica, ad esempio anche l’apertura di nuovi segmenti di mercato che richiedono la sostenibilità, e altre aziende ancora sono fornitori di grandi gruppi a cui viene richiesto di adeguarsi ai criteri di sostenibilità.

Quindi anche se qualcuno inizia per un vantaggio economico poi rimane positivamente sorpreso dalle opportunità che si aprono in un percorso di sostenibilità.

 

Tu sei un’esperta di turismo sostenibile: cosa significa esattamente?
Il 2017 è stato dichiarato a livello di Nazioni Unite, anno del turismo sostenibile per lo sviluppo. La sostenibilità nel turismo non si limita agli aspetti ambientali, ma anche sociali come il rispetto delle persone e la pace di un Paese. Ai Paesi la prima cosa che viene richiesta è di essere in stato di pace e di stabilità istituzionale. Vi ricordate gli attentati in Egitto di qualche anno fa? In 48 ore ci sono state l’85% di disdette.

In un percorso di turismo sostenibile è importante anche il coinvolgimento delle persone locali e la valorizzazione di piccoli borghi, che consentono di evitare la desertificazione sociale perchè rimangono luoghi vivi. Turismo sostenibile non è quindi solo sinonimo di vacanza in mezzo alla natura.

 

Cosa suggeriresti alle imprese di servizio, moltissime in Italia nelle grandi città, per diventare più sostenibili?
Le imprese di servizio hanno aspetti di sostenibilità molto importanti che non riguardano solo la produzione. Sicuramente come prima cosa è utile fare un check-up di sostenibilità (consiglio che do a tutte le aziende in realtà) per capire cosa si sta effettivamente facendo e cosa cambiare. Un altro suggerimento è scegliere fornitori adatti che condividano la stessa filosofia, per poi comunicare tutto nel modo giusto. Questo processo d’insieme consentirà di trarre vantaggi davvero interessanti.