Fatica digitale: il sovraccarico da password e abbonamenti ci sta logorando
2/11/2025
Hai mai fatto caso a quante subscription hai attive fra news, musica, video e servizi vari? Sicuramente più di uno: la media europea è 3.2, quella italiana 3.1.
E per quanto questi servizi online a pagamento possano essere comodi, dall’altro rappresentano non solo un costo economico, ma anche una fatica a livello psicologico: si parla infatti di “subscription fatigue”, una condizione di stress dovuta alla difficoltà di gestire costi e scadenze.
Subscription fatigue: il sovraccarico da abbonamenti
Funziona in modo molto semplice: ogni mese ti arriva un addebito che quasi non guardi, di un servizio che (probabilmente) non usi. La quantità di abbonamenti a cui siamo iscritti genera confusione e disorientamento: secondo l’ultima ricerca di Bango “Subscription Wars: Super Bundling Awakens Europe”, il 65% del campione di 5000 persone coinvolte dichiara che i servizi in abbonamento, da gestire, siano troppi.

La metà (50%) è frustrata dal fatto di non poterli mettere in pausa quando desidera, mentre quasi un terzo (28%) si sente bloccato dai piani che ha attivi. Insomma: non è più solo “quanto spendo”, ma “quanto mi pesa” gestire tutto.
Il contesto: la subscription economy
La subscription economy è l’era in cui qualsiasi cosa viene venduta su servizio, e appunto, sotto abbonamento: musica, film, news, corsi online, software, scatole misteriose che ti arrivano a casa.
L’idea in partenza era anche buona: paghi un tot al mese, usufruisci del servizio. Comodo, pochi sbattimenti. Il problema sorge quando tutti si mettono in coda a fare la stessa cosa: l’ “economia dell’abbonamento” diventa affollata e genera più stress che benefici.
Ma chi ha inventato questo termine? Numeri e trend
Il termine è di uso abbastanza recente, ha iniziato a spopolare poco prima della pandemia ed è un fenomeno in continua espansione: riguarda (quasi) tutti, a livello globale. In Italia la situazione è molto delicata: quasi un italiano su due ha annullato un servizio per l’aumento dei prezzi e la spesa media annua, circa 600€, pesa sempre di più sui portafogli (ma siamo comunque sotto circa 100€ rispetto alla spesa annua media in Europa).

Gli abbonamenti non sono tutti uguali
Ovviamente c’è una chiara differenza tra abbonarsi ai contenuti di content creator, artisti, scrittori e giornalisti indipendenti e dare dei soldi ad una media company multimiliardaria come Amazon. Ma alla fine del mese tutte le voci di spesa vanno a sommarsi in un unico bilancio, che inizia a diventare altino. E se all’aumento dell’offerta di contenuti non corrisponde una crescita del nostro potere di acquisto (che, spoiler, non aumenta da decenni a causa di mancati aumenti salariali), arriveremo inevitabilmente ad un punto di rottura anche qui in Italia. È arrivato il momento di eliminare qualcosa, ma da dove iniziare?
La reazione delle piattaforme: abbonamenti condivisi & co.
Le piattaforme (e i fornitori di servizi) si sono accorti del problema – o meglio, della fuga degli utenti. Le risposte sono diverse:
- Inizialmente sono stati creati abbonamenti condivisi (famiglia, multi-screen) per “diluire” l’utilizzo dell’abbonamento su più persone, ma sono poi state introdotte tariffe aggiuntive per gli abbonamenti condivisi da persone che non vivono sotto lo stesso tetto: è il caso di Netflix e Disney+.
- Versioni “ad-supported” (cioè più economiche ma con pubblicità) per chi vuole risparmiare
- Bundling: consiste nel mettere insieme vari servizi in pacchetti (es: streaming + sport + kids) per aumentare l’attrattiva
Insomma, non la stanno prendendo bene, e stanno facendo di tutto per arginare la questione.

Come capire quando è troppo
Ci sono diversi campanelli d’allarme tramite cui ti puoi rendere conto che stai entrando nel tunnel della subscription fatigue. Eccone alcuni:
- Ti ritrovi addebiti sull’estratto conto in merito ad abbonamenti di cui non ricordavi l’esistenza
- Sai che sei abbonato a un servizio o piattaforma, ma non lo utilizzi da mesi
- Hai account multipli per lo stesso servizio
- Altro?
Abbiamo troppe password da ricordare?
Si, decisamente. Una delle caratteristiche della subscription fatigue è proprio lo stress cognitivo del doversi ricordare account, credenziali e password con cui si hanno sottoscritto i diversi abbonamenti. Abbonarsi è facile, ma gestire gli abbonamenti o disiscriversi molto meno.
Se ti sei stancata di segnarti le password sulle note del cellulare o su un post-it (che poi puntualmente perdi), ci sono diversi strumenti che possono esserti d’aiuto, come LastPass o BitWarden. Si tratta di password manager (app o estensioni browser) che ti aiutano a gestire in modo sicuro tutte le tue password, salvandole in un archivio e permettendoti poi di auto compilare i campi di login su siti e app.
L’unica password (chiamata master password) che ti devi ricordare è quella tramite cui accedi a questa app, le altre sono custodite al suo interno. Questi strumenti ti supportano anche nel generare password automatiche per evitare combinazioni deboli, e ti avvisano se una password è stata compromessa in una violazione di dati.
La fatica deriva dal sovraccarico digitale
Minimalismo digitale e digital wellbeing
Una modalità che si contrappone al fenomeno della subscription fatigue è il “benessere digitale”, che indica un equilibrio tra vita online e offline, permettendoci di sfruttare la tecnologia senza senza subirne gli effetti negativi come stress e dipendenza.
Il primo passo è di mettere intenzionalità nelle nostre scelte digitali: capire cosa ci serve davvero e cosa, invece, è puro rumore di fondo. Un uso consapevole (e minimalista) di social e abbonamenti ci fa sentire più in controllo delle nostre finanze, ci fa spendere meno energia e ci fa sentire più leggeri. Insomma: less is more.
Digital detox: necessità o buzzword?
I più hardcore si spingono a prendersi completamente una pausa dalla tecnologia, disinstallando abbonamenti e app. Una sorta di “detox dal digitale” appunto, ma invece di fritto e dolci rinunci a Netflix.
C’è chi resiste qualche ora, chi un weekend, e chi partecipa a retreat “digital detox” in cui viene vietato l’uso del cellulare o qualsiasi altro dispositivo media, proprio per concederci una pausa da questa fatigue. Un po’ come andare in rehab, ma per notifiche push e scroll compulsivo.
Potresti vivere senza Netflix e Spotify?
Ormai alcune di queste piattaforme vengono date per scontate, tanto da accettarne il costo fisso come se fosse una bolletta. Pensaci: è ancora immaginabile disiscriversi da Spotify o da Apple Music? Quante persone, oggi, possiedono fisicamente la musica che ascoltano? Siamo pronti a ritirare fuori i lettori CD e le cartelle “musica” dai dischi di memoria? Difficile. Questo perché nell’industria culturale abbiamo assistito al passaggio dal concetto di ownership a quello di usership: l’idea che possiamo fruire di un prodotto anche senza possederlo.
Uno sguardo al futuro: soluzioni e nuovi modelli
Nel futuro della subscription economy potremmo vedere una combinazione di modelli freemium più trasparenti, abbonamenti “a consumo” e magari un ritorno all’offline per alcune attività.
Ma la vera chiave per ridurre la subscription fatigue sarà semplificare: piattaforme più chiare, pacchetti realmente utili e strumenti che gestiscono tutto al posto nostro. App come Bobby o ScribeUp aiutano a monitorare costi, scadenze e doppioni. Non risolvono il problema alla radice, ma almeno riducono il rumore di fondo e ci fanno tirare un sospiro di sollievo.
Il vero upgrade è disdire qualcosa
La subscription fatigue non è solo un effetto collaterale dell’era digitale, ma anche un segnale, che ci ricorda che ogni “abbonati ora” è anche un “aggiungi un peso mentale” alla lista. Forse la vera rivoluzione non sarà la prossima piattaforma, ma il nostro clic su “disattiva rinnovo”.
Un gesto piccolo, ma liberatorio: come aprire spazio nella mente, nel portafoglio e nel tempo libero. Noi in ufficio abbiamo già iniziato la decrescita. La piattaforma di film d’essai Mubi è stupenda ma poco si adatta all’encefalogramma piatto che spesso ci coglie dopo una lunga giornata lavorativa. Quasi tutti gli altri abbonamenti sono condivisi con familiari e vicini. Gli artisti e i content creator li finanziamo una tantum. Quel che è certo è che non vogliamo diventare “vecchie abbonate” perchè come decantava in un vecchio sketch un Fabio DeLuigi profetico, il vecchio abbonato ci smena sempre. Meglio disabbonarsi!