Tra gioco e suscettibilità: il panorama dell’ironia pubblicitaria in Italia

24 Marzo 2022 Sottosopra Comunicazione

Tra gioco e suscettibilità: il panorama dell’ironia pubblicitaria in Italia

Qui in agenzia dedichiamo molto tempo all’analisi delle campagne pubblicitarie italiane ed estere: fa parte del nostro lavoro rimanere aggiornate sui trend e su come variano i linguaggi nel tempo e da Paese a Paese. Un elemento che salta subito all’occhio è che le pubblicità straniere usano molto l’ironia, quelle italiane: no. Prima di entrare nel merito del perché, vediamo qualche esempio delle pubblicità dell’ultimo periodo secondo The Drum, testata di riferimento per il mondo del marketing creativo.

Le campagne pubblicitarie ironiche straniere

campagne pubblicitarie ironiche

"Lockdown for life" di Olgivy Health per l'associazione CFTruths

In UK, la vita è ormai tornata alla normalità pre Covid-19, ma per chi convive con la fibrosi cistica, le limitazioni alla vita quotidiana persistono. Lockdown for Life” è una campagna OOH (Out Of Home) di manifesti firmata Olgivy Health, la branca medica della celeberrima agenzia newyorkese. Il visual minimale mette in evidenza il copy sagace:  “We’ve always had to social distance” (Abbiamo sempre convissuto con il distanziamento sociale) e “We were coughing before it went viral” (Tossiamo da prima che diventasse virale). Copy geniale, humor nero quanto basta e timinig perfetto: voilà.

Duolingo e i tatuaggi scritti male

Con un video dal montaggio frenetico, BETC Paris e Pierre Edouard Joubert ci trascinano in un viaggio notturno e delirante nella Bangkok notturna di The Beach, ai tempi di TikTok. Duolingo prende bonariamente in giro i turisti sprovveduti e alticci che si fanno tatuare scritte sbagliate in lingue che non conoscono. L’attivazione legata alla campagna prevede che chiunque posti la foto del suo tatuaggio sbagliato con l’hashtag #TattooDuoOver riceva un mese gratuito su Duolingo. Tra questi, i fortunati vincitori del premio “scritta più brutta” verranno omaggiati con un viaggio a Parigi e un tatuaggio cover-up in un famoso studio: WOW.

Will Ferrel per Lunar Bank

Will Ferrell è testimonial della banca digitale danese Lunar, nei panni dell’eccentrico guru New Age e lifestyle coach Will Power, che mostra come l’app di Lunar Bank possa aiutare a tenere sotto controllo le proprie finanze. L’agenzia danese che ha prodotto la campagna è Åkestam Holst/NoA, il regista Jake Szymanski. Estetica e gag tipiche degli anni ’80 e ’90 che strizzano l’occhio ai Millennials, una generazione in costante crisi nostalgica e target perfetto per l’home banking digitale.

L’Ironic Selling Proposition e l’uso dell’autoironia

Quello che si nota in questi spot è che non sono semplicemente simpatici o ironici, esiste uno step in più che raramente si vede nelle pubblicità nostrane: l’autoironia. Una strategia pubblicitaria definita nel settore come Ironic Selling Proposition. L’ironia inizialmente ribalta il significato del messaggio e crea un paradosso, trasformando la pubblicità in un’esperienza ludica che il consumatore (considerato maturo, intelligente e selettivo) può vivere con piacere, attivando il ricordo della marca. L’ironia riduce la tensione del messaggio e rompe le resistenze nei confronti del prodotto. Ma perché questa strategia viene applicata così poco in Italia? Siamo forse consumatori poco maturi, un po’ tonti e poco selettivi? Siamo semplicemente troppo permalosi? O forse centra la Chiesa? Scopriamolo insieme.

Le campagne pubblicitarie ironiche italiane

Alla base della pubblicità mass market in Italia ci sono sicuramente gli stilemi della commedia all’italiana. Un umorismo che spesso si esaurisce nella gag, nella battuta in dialetto, nella caduta, facendo riferimento a un serbatoio un po’ abusato e a dei testimonial comici che perpetrano le loro gag. Quindi la risposta breve alle domande di cui sopra è che sì, nel nostro Paese spesso l’ironia e lo humour non vengono comprese. Questo non significa che tutto il pubblico italiano sia inetto o permaloso, ma che la parte che lo è, è molto, molto vocale. E’ già capitato che alcune pubblicità finissero tra le maglie della censura perché lesive delle convinzioni morali, civili e religiose, oppure considerate indecenti e volgari. Ecco alcuni esempi di campagne pubblicitarie ironiche italiane di ieri e di oggi.

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Ikea nei primi anni 2000

Ikea nei primi anni 2000

È nei primi anni 2000 che si inizia a giocare con l’ironia e l’autoironia nelle campagne pubblicitarie in Italia. Ikea prova a strizzare l’occhio ai genitori stanchi ma il giurì dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria dice di no. Lo fa, spiegava alla Stampa del tempo il segretario generale Vincenzo Guggino, “non per censura ma per stabilire parametri di autorevolezza e correttezza. E lo facciamo compiendo un’opera di sottile esegesi anche stilistica, analizzando non tanto i contenuti di spot e cartelloni, quanto piuttosto le forme e il linguaggio”.

“Fidati di uno che le ha provate tutte, amica chips è la migliore!”

Rocco Siffredi e Amica Chips. Un copy allusivo dopo l’altro “io le patatine le ho provate tutte, americane, francesi, tedesche, con la sorpresa”; “fidati di uno che le ha provate tutte, amica chips è la migliore!” Geniale, ma non fece ridere tutti. Come riporta il Corriere della Sera del marzo 2006: “L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria boccia la pubblicità che vedeva protagonista il pornodivo: è volgare e sleale: «Lo spot ‘Patatine Amica Chips’, andato in onda nei mesi scorsi sulle reti Mediaset, viola gli articoli 9 (violenza, volgarità, indecenza) e 10 (convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona) del codice di Autodisciplina Pubblicitaria e pertanto il Giurì ne dispone la cessazione». A darne comunicazione direttamente il Moige, il Movimento Italiano Genitori, che aveva denunciato dopo aver ricevuto centinaia di segnalazioni di genitori”.

Vigorsol - A fresh Air Explosion

Lo scoiattolo petomane di Vigorsol (Gruppo Perfetti, campagna di BHH) fece alzare non poche sopracciglia quando venne lanciato nel 2007. Ma il brand riuscì a cavalcare l’onda lunga dei dibattiti nei programmi televisivi e online, ammassando visualizzazioni su YouTube e download di suonerie (vi ricordate quel tremendo periodo tremendo?). L’eco del successo diede vita ad una nuova collaborazione tra Perfetti e WWF per sensibilizzare il grande pubblico sul cambiamento climatico. Nel nuovo film d’animazione lo scoiattolo si trovava al Polo Sud, intento a salvare i pinguini dal fenomeno del surriscaldamento climatico grazie alla freschezza esplosiva del chewing gum. Bravi.

Buondì Motta e lo spot con l'asteroide che schiaccia la mamma

Polverone più recente è invece quello sollevato della pubblicità dei Buondì Motta, firmata da Saatchi & Saatchi. Lo spot era una parodia delle famiglie modello, non a caso note come “Famiglie Mulino Bianco” che si trovano solo negli spot televisivi. La campagna faceva leva sull’assurdo, mettendo in scena l’applicazione letterale dell’espressione “possa un asteroide colpirmi se…” Quella colpita era la mamma, sollevando onta e sgomento su più fronti. Centinaia i commenti disgustati sulla pagina Facebook di Motta. Contro lo spot si schiera anche l’Aiart, l’associazione cattolica dei telespettatori che si lamenta del “cattivo gusto dei pubblicitari nel raccontare un momento importante di relazione familiare come quello tra madre e figlia”, facendo ricorso all’Istituto di auto-disciplina pubblicitaria, all’Agcom e alla Rai.

Il nuovo panorama dell’ironia pubblicitaria in Italia oggi

In ultimo alcuni brand che hanno fatto dell’ironia e dell’autoironia il loro timbro comunicativo in anni più recenti. La birra Cères, che da sempre usa l’irriverenza nelle sue campagne (ideate da Publicis), Taffo (Peyote ADV) che ha ribaltato il modello di comunicazione delle agenzie funebri (se mai ne avessero avuto uno) e ManoMano (Marcel), e-commerce francese di bricolage che nelle sue campagne per l’Italia usa un umorismo più secco e in linea con la cultura popolare, un po’ alla Maccio Capatonda.

L'umorismo secco di ManoMano

La verità è che l’ironia e l’autoironia pagano. Soprattutto in epoca social, dove i brand possono cavalcare l’onda di questo tipo di comunicazione provocatoria per mesi. D’altronde è sempre valido il vecchio detto: “Che se ne parli anche male purché se ne parli”.

Taffo ai tempi dello spot Buondì Motta

Noi pensiamo che tempi siano maturi perché la comunicazione pubblicitaria si svecchi anche Italia, pendendosi e prendendoci meno sul serio. Un’operazione sempre più difficile in un periodo storico in cui la giusta attenzione alla sensibilità delle categorie marginalizzate spesso viene confusa con la massima “non si può più dire niente”, imbrigliando chi si occupa di comunicazione in una difficile operazione di cammino sulle uova per non offendere la sensibilità di nessuno, incluse le categorie per niente marginali.

Se voleste approfondire le dinamiche d’indignazione collettiva e della cancel culture, Guia Soncini ne tratta nel libro “L’era della suscettibilità” edito da Marsilio.

Se invece vi piacciono le nostre analisi delle campagne pubblicitarie, vi consigliamo anche “Come comunicare la sostenibilità” e “Il valore aggiunto della bici in pubblicità”.

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