Da street art a brand art

1 Febbraio 2023
1 Febbraio 2023 Sottosopra comunicazione

Da street art a brand art

Come gli spazi urbani sono diventati i nuovi canali di comunicazione

Le radici del movimento della street art affondano nella New York anni ’70, con artisti del calibro di Jean-Michel Basquiat, Keith Haring e Futura 2000, i progenitori dei murales. All’inizio degli anni 2000, la passione per i graffiti esplode in tutto il mondo, evolvendosi in una forma d’arte apprezzata anche dal grande pubblico ed esposta in gallerie e musei. Vista la crescente attenzione alla street art da parte del pubblico mainstream, i pubblicitari e i creativi iniziarono ad appropriarsene per campagne a target giovane. Un processo che ha sradicato completamente l’estetica street dall’etica e dall’ideologia antiautoritaria e anticapitalista che aveva dato vita al movimento.

Street art e branding: perché funziona

La street art e la pittura murale come mezzo pubblicitario non sono necessariamente una pratica nuova, ma con l’avanzare della tecnologia e la nascita della pubblicità online sembravano destinate ad estinguersi. Al contrario, in questi anni stiamo assistendo ad un grande ritorno della street art, che oggi include video mapping, installazioni luminose, tape art e persino yarn bombing.

I pro della brand art

  • Si nota prima l’arte del brand

Un bellissimo murales sul lato di un edificio non grida immediatamente “pubblicità”, come accade per le normali affissioni OOH, i post sponsorizzati su Instagram o gli spot televisivi. Arriva prima l’arte.

  • Social media friendly

La brand art è accattivante, imponente e, soprattutto, unica ed esclusiva, il che la rende molto attraente per la condivisione social (guardami mentre sono a New York sotto al nuovo pezzo di Gucci). Per non parlare del making of: un murales dipinto dal vivo è uno spettacolo troppo particolare per non essere condiviso sui social. Per questo i murales sono uno dei pochi formati pubblicitari che i consumatori fotografano e condividono attivamente e generosamente sui social media.

  • Interazione amplificata

I murales offrono varie possibilità di engagement oltre alla condivisione sui social media. Lo sviluppo della realtà aumentata e l’implementazione dei QR code ha consentito ai marchi di fare un ulteriore passo avanti nella comunicazione con il pubblico.

Il ruolo della pandemia nella diffusione della brand art

I manifesti pubblicitari hanno un ruolo che va oltre alla comunicazione funzionale: nelle aree urbane fanno parte dell’ambiente in cui viviamo, dell’esperienza del camminare e del guidare. In certi casi possono persino migliorare gli spazi in cui viviamo. L’affissionistica ha un ruolo simile a quello dell’arte negli spazi pubblici: un mezzo per valorizzare le comunità e le attività commerciali.

Durante la pandemia era diventato fondamentale ricreare un senso di comunità e di esperienza culturale condivisa (flashback: canzoni dai balconi e striscioni arcobalenosi “andrà tutto bene”). In quel periodo molti di noi hanno riscoperto l’importanza del sentimento d’appartenenza ad una comunità, il bisogno di sentirsi connessi a qualcosa di più grande di noi.

Per questo, post lockdown l’OOH era diventato uno strumento chiave per far fronte alla sfida pandemica, sia per la comunicazione istituzionale che per quella pubblicitaria. La brand art rappresentava l’intento dei marchi a connettersi alla comunità, agendo a livello locale, di quartiere, con opere site-specific. Il mezzo diventa il messaggio, offrendo una forma di escapismo oltre che di affermazione del valore del brand.

Street art e moda, inizi controversi

I brand di moda sono tra i primi ad aver sfruttato l’estetica e l’ethos della street art per pubblicizzare i propri prodotti. Non solo i brand cosiddetti street, ma anche le grandi case di moda hanno abbracciato il trend, non senza controversie.

Moschino e Rime

Nel 2015 Moschino lanciava una nuova collezione sfruttando immagini dell’opera “Vandal Eyes” (Detroit, 2012) dell’artista Rime. Rime ha citato in giudizio la maison per violazione del copyright, sottolineando come: “niente è più antitetico alla street cred [della mia opera] dell’associazione con l’eleganza, il lusso e il glamour europei, di cui Moschino è l’epitomo”.

Basquiat e Urban Decay

Nel 2017 il marchio di makeup Urban Decay lanciava un prodotto in edizione limitata utilizzando l’arte e l’estetica di Basquiat. Un articolo del 2017 di Bustle affermava che il lavoro dell’artista “era stato riportato in vita attraverso gli otto prodotti ispirati alla sua arte”. L’insidiosità della campagna sta nel fatto che Basquiat era un artista afroamericano che produceva arte clandestina i cui temi chiave erano il consumismo di massa, il razzismo, la brutalità della polizia e l’oggettivazione e la mercificazione delle persone di colore negli Stati Uniti degli anni ’70 e ’80. Rimuovendo le sue immagini dal contesto e dal messaggio e celebrando Basquiat come un artista derazzializzato che beneficia dell’attenzione di Urban Decay, il brand spogliava la sua arte del suo intento. Come se non bastasse, Urban Decay scelse Ruby Rose, un’attrice bianca, come volto della campagna.

Cavalli e i murales di San Francisco 

Anche Roberto Cavalli fu contestato quando usò e firmò illegalmente (di fatto rivendicando la proprietà creativa del pezzo) un murales di Steel, Reyes e Revok a San Francisco, per spingere la sua linea “Just Cavalli” del 2014.

Nonostante i rappresentanti legali di Basquiat e Rime fecero causa e vinsero, molti artisti minori non godono dello stesso status o privilegio per andare in causa contro i brand che usano il loro lavoro illegalmente.

Comunicare con arte e architettura

Una nuova forma di street art top down

In tempi più recenti abbiamo però assistito ad un superamento dell’appropriazione artistica della street art, che si è trasformata in una dinamica di co-creazione tra brand e artisti.

Valentino nel 2016 ha scelto lo street artist italiano Solo per rappresentare la sua donna iconica in veste di Wonder Woman.

Sempre nel 2016 Dolce & Gabbana marchiano i marciapiedi di Londra, Parigi, Milano e New York con la propria immagine stilizzata. I graffiti sono ecosostenibili, realizzati senza additivi chimici e capaci di dissolversi in due settimane.

Nel 2018, Fendi lancia “F is for GRAFFITI”, una performance artistica sul rooftop di Palazzo della Civiltà Italiana a Roma. Otto street artists romani hanno reinterpretato il logo della maison e il claim “graFFiti” in una performance notturna con vernici spray fluorescenti e luci UV.

Brand art a Milano: il murales di Gucci e gli altri

Gli esempi nella nostra città sono parecchi. Tra Garibaldi e Moscova, in Largo La Foppa si incontra il Gucci Art Wall, una tela urbana di 176 metri quadrati che da maggio 2017 ospita gli OOH più creativi della maison.

Il Gucci Art Wall unisce arte contemporanea e marketing in una formula vincente, presente anche a Manhattan, nell’East End londinese, a Hong Kong, Shanghai, Taipei e Città del Messico. In Corso Garibaldi nel tempo sono apparse opere di Maurizio Cattelan, Angelica Hicks, Ignasi Monreal e Cocò Capitain (le trovate qui).

Ha seguito il trend Napapijri, che in occasione della green week del 2019, aveva prodotto tre Futurewear Walls: murales realizzati con Airlite, una vernice in grado di trasformare gli agenti inquinanti in sali minerali. 

Sempre nel 2019 arriva anche Burberry con il lancio di Mahmood come testimonial, sempre su un muro di Corso Garibaldi.

È poi la volta di Prada, che per lanciare la collezione Autunno-Inverno 2021/22 ha ricoperto un palazzo di via Spallanzani con la texture della collezione.

L’esempio più recente è il muro di Toilet Paper e Red Bull, 500m di murales in città studi dipinti da Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari in occasione del Fuori Salone 2022.

Street Art e Brand per il sociale

Il caso Urban Vision e il patrimonio culturale

L’agenzia che sta dietro al Gucci Art Wall è Urban Vision, un’agenzia romana che opera dai primi anni 2000 in sinergia con enti ed istituzioni per finanziare progetti di recupero monumentali, scultorei e pittorici attraverso la vendita di giganteschi spazi OOH a brand internazionali.

Un modello win-win in cui le revenue pubblicitarie vengono utilizzate per la riqualificazione e manutenzione del patrimonio urbano, mentre il brand ha un ritorno comunicativo notevole. Una brand awareness decisa e positiva, in un’ottica di mecenatismo culturale. 

Qui alcuni progetti attivi su milano.

Street art e comunicazione istituzionale

Anche istituzioni e associazioni si stanno avvicinando a questa forma d’arte e di comunicazione. Ne sono un esempio i murales antifascisti nel quartiere Feltre, opera del collettivo artistico Orticanoodles in collaborazione con l’associazione OrMe – Ortica Memoria di Milano, l’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti, Poste Italiane e Comune di Milano. Sempre il Comune di Milano concede 100 muri liberi per street artists e ne commissiona regolarmente ad artisti noti per abbellire i muri della città, tra gli ultimi quelli di Pao e Orticanoodles in Isola o quello in collaborazione con Fastweb alla BAM “Close the Gap, Open your Future” di Rosk.

 

 Esplora le mappe della street art milanese qui e qui

Street art e benessere aziendale

E se si parla molto dell’importanza dell’arte negli spazi urbani come mezzo per valorizzare la quotidianità delle comunità che li frequentano, lo stesso vale per i luoghi di lavoro. Curioso in questo senso è il caso della Prologis, azienda americana che costruisce parchi logistici con l’obiettivo di rendere gli spazi di lavoro più piacevoli e sostenibili per i lavoratori e per chi li frequenta. È nato così nel 2021 il Prologis Urban Art, all’interno del Prologis Park di Lodi. Otto artisti hanno trasformato le pareti verticali del parco logistico con il loro stile, creando una galleria di oltre cinquemila metri quadrati. L’area industriale apre sporadicamente al pubblico per visite gratuite guidate.

La visione di Sottosopra

Il Museo della Street Art di Amsterdam analizza come il rapporto tra arte e pubblicità è lungo e contorto: gli artisti sviluppano nuovi mezzi, stili e tecniche; la pubblicità se ne appropria, spingendo gli artisti a respingere e a sviluppare nuovi stili in risposta. Queste nuove forme d’arte vengono poi assorbite anch’esse nella pubblicità e il ciclo continua. Nelle parole di Banksy:

“Non devi niente alle aziende. Meno di niente. Soprattutto non devi loro alcuna cortesia. Ti sono debitori. Hanno riorganizzato il mondo per mettersi sopra di te. Non hanno mai chiesto il tuo permesso, non chiedere mai il loro.”

Questa citazione chiarisce il sentimento di molti artisti, non solo di strada, e sottolinea in particolare l’origine etica, fai-da-te e anticapitalista dei graffiti e della street art. È innegabile che le grandi aziende usino la street art come strumento promozionale ignorando le origini sociali e comunitarie del movimento, spesso a scapito dell’arte e delle comunità da cui emerge. (Ne parlavamo recentemente anche in termini di green, pink e rainbowashing qui). Tuttavia ci sentiamo di stemperare l’argomentazione del Museo della Street Art di Amsterdam differenziando tra appropriazione d’arte e co-creazione d’arte su commissione.

Consideriamo infatti le incursioni dell’arte negli spazi urbani sempre positive, anche quando spinte da iniziative commerciali. La street art su commissione, o brand art, è un concetto win-win: più incisivo di una tradizionale affissione per il committente, visivamente piacevole per il quartiere e, in certi casi, fonte di finanziamento per la riqualificazione architettonica dell’edificio.

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