L’abbaglio della vibe economy

10 Luglio 2023 Sottosopra Comunicazione

L’abbaglio della vibe economy

Se i trend sono storicamente uno spunto fondamentale per lo sviluppo e il marketing di prodotto, sono anni che assistiamo a cicli sempre più rapidi ed effimeri, tanto che è difficile difenderne l’efficacia. Siamo nell’era dela cosidetta Vibe Economy.

Con la pervasività dei social media, l’egemonia delle piattaforme e l’imporsi di una generazione di consumatori nativi digitali, i trend e le vibes sono diventati un tema centrale e divisivo per le strategie di marchio. E se una volta vibe, mood ed energia erano parole della controcultura, oggi fanno parte del lessico comune di Millennials e Gen Z sui social media. Un cambiamento frutto del continuo dialogo (o appropriazione) tra capitalismo e controcultura.

Cosa sono, nel 2023 le vibes?

Priscilla De Pace spiega come una vibe digitale è dispositivo di comunicazione tra utenti, utilizzato per descrivere atmosfere e sensazioni emanate da un prodotto culturale o da un periodo storico. Un tentativo di evocare un’atmosfera in immagini.

In un recente saggio sul New Yorker, Kyle Chayka sostiene che la diffusione delle vibes indica un cambiamento nella cultura online: dove una volta la promessa di Internet era l’infinita disponibilità di storie, ora sempre più utenti ricercano “momenti di eloquenza audiovisiva”. Che si tratti di incapsulare stati d’animo sfuggenti o condividere il mood di un’atmosfera, oggi le vibes sono un elemento fondamentale del linguaggio online: ci aiutano a “raccontare il sottile insieme di connessioni che ispira la nostra esperienza e influenza la nostra identità, rendendo il nostro pensiero sempre più simile a un algoritmo”. 

In soldoni, secondo Chaya, le vibes sono: “Un segnaposto per una qualità astratta difficile da definire: un’atmosfera (“una vibe rilassata”). La vibe è il motivo per cui ti piace o non ti piace qualcosa o qualcuno (“quella persona mi manda good vibes” o “questo posto ha delle bad vibes, andiamocene”).”

Le vibes come lessico social

Se Tumblr dei primi anni ’10 è stata la piattaforma che ha iniziato di più alla curatela digitale, Instagram è il social media che ha permesso la diffusione su scala globale delle vibes. I suoi feed curatissimi e armocromatici hanno permesso di veicolare facilmente un mood o una personalità attraverso una selezione di immagini. TikTok e i suoi brevi video dalla sottofondo musicale evocativo hanno infine elevato le vibes a esperanto dei social media. Video di onde al tramonto e musica chill: instant vibe. Con la potenza dell’algoritmo di Tik Tok, basta poco per ricevere un feed “per te” totalmente colonizzato da queste vignette emozionali.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da @brandyymendez

Vibes ed estetiche, un dialogo tra digitale e reale

Non per forza la vibe e l’estetica dei nostri feed rispecchia i nostri usi e costumi nella vita reale. Spesso il carattere aspirazionale, nostalgico e sognante di certe estetiche è appagante di per sé, nella sua funzione escapista. Tuttavia, alcun* di noi riproducono la stessa estetica nella vita reale, attraverso la moda, la decorazione della casa, determinati hobby o attività. Per questo, alcune delle estetiche più pop e accessibili sono diventate sottoculture, aggiungendo una dimensione partecipativa e sociale a quella di curatela. Come per il cottagecore, che evoca un ritorno alla natura e alla vita semplice: fare l’orto, vestire abiti organici, usare lo shampoo solido. Vibes ed estetiche si spostano da Internet al mondo fisico e viceversa, offrendo spunti per i brand che offrono beni e servizi per la persona.

Vibe economy, cosa significa in termini di prodotto?

In primis un possibile universo di social shopping dedicato: abiti, accessori, gadget, home déco. Basta scorrere abbastanza una certa vibe su Instagram o Tik Tok perché l’algoritmo capisca l’andazzo e proponga un vasto catalogo di oggetti esteticamente rilevanti con la vibe del caso.

Una dinamica che ha un’influenza il settore moda: con i tempi rapidi del fast fashion lo stile si è dissociato dalle epoche storiche. Una collezione non è più “anni ’60” ma è fatta da tanti piccoli input visivi che andranno a formare una sensazione, a creare un’esperienza. L’estetica viene intesa come una collezione di immagini, un moodboard che identifichi la bellezza secondo un utente o una comunità.

In campo narrativo si pensi a serie come Euphoria, Sex Education, Ted Lasso. Si tratta di prodotti culturali ambientati nel presente ma con un’estetica anacronistica, dei “meta contesti in cui il veicolo dell’estetica è più potente della storia che racconta”. Serie tv che strizzano l’occhio a sottoculture estremamente digitali, nostalgiche di un passato di cui non hanno memoria ma di cui vorrebbero fare esperienza nel presente. È il fenomeno della Newstalgia, che De Pace definisce “la rievocazione del passato che incontra le contaminazioni del presente per dare vita a rappresentazioni ibride e affascinanti.”

“La newstalgia sta diventando parte della linfa vitale di molti social media grazie al collasso dei trend cycles tradizionali e alla tecnologia che sfuoca sempre più i confini della realtà.” refinery29

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Vita lenta (@vita________lenta)


Vibes, estetiche e moodboard in pubblicità

Lato nostro, ovvero lato agenzia, non possiamo che far notare che il moodboard ce lo siamo inventat* noi ben prima dell’avvento di Tumblr, o del personal computer, se è per quello. I moodboard sono un comune strumento di brainstorming nel mondo della moda e della pubblicità da dagli anni ’80. Raccogli in una tavola immagini, tendenze, colori, ispirazioni e parti da lì. L’omogeneità visiva è un elemento comune nel mondo della direzione artistica, in cui gli stili operano meno come tendenze e più come meme, remixati e diluiti fino a diventare una singola massa visiva. Secondo la rivista digitale Eye on Design, nel nostro presente estremamente online, la vasta disponibilità di reference ha controintuitivamente generato minor originalità estetica e superficialità nel linguaggio visivo.

In una recente intervista a The Brand Identity, Jesse Reed, co-fondatore di Order, uno studio di design newyorkese, discredita le moodboard come démodé e derivative, affermando che “lavorare a partire da influenze estetiche anziché da connessioni significative non fa che alimentare il ciclo dell’uguale”.

I trend hanno perso ogni significato?

Storicamente, i trend segnalavano un cambiamento sociale: un nuovo modo di pensare, un valore o un’attitudine emergente. Ma che succede quando il trend dell’estate sembra essere il mermaidcore?

Da quando i brand sono sbarcati sui social, sembrano aver accantonato l’obiettivo di analizzare la cultura per inseguire ciò che è cool, dando corpo appunto alla vibe economy. I marchi subiscono i trend invece che dettarli. Secondo Contagious Magazine, la maggior parte di ciò che oggi viene considerata una tendenza altro non è che frivolo intrattenimento. Siamo arrivati a confondere ciò che è “trending” con ciò che è “un trend”.

In una ricerca citata da Fast Company, quando è stato chiesto a 1.500 persone statunitensi, britanniche, francesi e australiane se avessero sentito parlare dei 10 “trend” più discussi dai marketer online (da Cottagecore e Barbiecore, da Indie Sleaze a Dark Academia) – il 43% non ne aveva mai sentito parlare. Del il 57% che era a conoscenza di almeno una di queste “tendenze”, meno della metà vi partecipava. In altri termini, circa il 70% dei rispondenti si disinteressa ai trend passeggeri.

Quali strategie per il marketing di prodotto nella vibe economy?

A nostro avviso, i tre pilastri da non dimenticare quando si valuta se lanciarsi su un trend in termini di prodotto sono:

  • valutare se un trend rappresenti effettivamente un cambiamento valoriale in atto nella società
  • mettere la persona al centro: questo trend significa effettivamente qualcosa per le persone o per una community o semplicemente piace all’algoritmo?
  • fare una corretta stima del ROI: si tratta di un prodotto/servizio che effettivamente porterà un rientro economico da giustificare l’investimento in termini di tempo, energie e risorse, indipendentemente dalla durata del trend?

Per approfondire la vibe economy e i trend:

Seismic Waves of Gen Z Behavior

Vibe, Mood, Energy  | Or, Bust-Time Reenchantment

, , ,