Il folklore della sostenibilità: un circo di parole nella comunicazione green.

1 Luglio 2021 Irene Ivoi

Il folklore della sostenibilità: un circo di parole nella comunicazione green.

La sostenibilità chiede un’operazione di Igiene del linguaggio nella comunicazione green; provo allora a fare ordine partendo dalla fine, cioè dal punto in cui ci troviamo.

Nel 2020 è stata adottata e pubblicata la specifica tecnica internazionale UNI ISO/TS 17033 “Asserzioni etiche ed informazioni di supporto – Principi e requisiti”. Essa stabilisce le modalità condivise a livello internazionale per effettuare dichiarazioni etiche credibili. È destinata a produttori e venditori di beni e riguarda la correttezza di claim tipo km0, rispetto degli animali, commercio equo, lavoro minorile, ecc. Di fatto è uno strumento volontario per fare ordine, a livello terminologico e procedurale, nell’ambito della comunicazione e della trasparenza verso il mercato e i consumatori.

Green claims: la Commissione europea sta valutando varie iniziative.

Per esempio l’opportunità̀ di introdurre un sistema più armonizzato per la corroborazione dei green claims, basato sull’uso di due distinte metodologie volte a misurare, rispettivamente, l’impronta ambientale dei prodotti (Product Environmental Footprint – PEF) e quella delle organizzazioni/imprese (Organization Environmental Footprint – OEF). Infatti la Commissione Ue a tale scopo nel 2020 ha avviato una consultazione e già il Piano di azione per l’economia circolare del 2020 chiedeva ordine a riguardo.

Ma la Commissione è anche impegnata a tutelare i consumatori garantendo loro informazioni migliori sulla sostenibilità dei prodotti poiché un’economia più verde passa anche e soprattutto dalle loro scelte. A tale scopo esiste un iter europeo per arrivare anche ad una proposta legislativa, già annunciata nel novembre 2020.
L’orientamento è netto: contrastare il “greenwashing” rendendo i requisiti per la pubblicità ambientale più definiti, comprovati, quindi meno liquidi. Resta ovviamente da vedere quali misure legislative concrete saranno effettivamente attuate in futuro, però le premesse non mancano.

Comunicare green: perché siamo arrivati a questo punto?

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando 20 o 30 anni fa bastava dire “questo prodotto è amico dell’ambiente” oppure “è ecologico” per posizionarlo in perimetro green.
Ci si poteva ancora permettere di farlo perché i prodotti green erano davvero pochi, non esisteva competizione nel produrli e promuoverli, appartenevano ad una nicchia di mercato senza folla.
Anche le prime etichette che ne certificavano la virtuosità del processo o del prodotto erano esigue, poco note e tutta la comunicazione green era da inventare.
Basti pensare che esattamente 10 anni fa, per un lavoro che richiedeva un supporto possente in comunicazione su questi argomenti, una società per la quale lavoravo, con difficoltà individuò 3 agenzie a cui chiedere delle proposte.
Oggi le agenzie di marketing e comunicazione hanno cambiato pelle, sui loro siti la sostenibilità è spessissimo presente, anzi in alcuni casi è un elemento distintivo.

E questo è accaduto e continua ad accadere perché noi cittadini/consumatori siamo diventati molto attenti a questi ingredienti quando compiamo scelte di acquisto.
Nei fatti è cresciuta la quantità di prodotti davvero meno impattanti che prediligiamo.
Siamo cioè passati un po’ di più dalle parole (dichiarazioni di sostenibilità desiderata) ai fatti della sostenibilità praticata.

Il greenwashing e l’effetto boomerang.

Parallelamente si parla sempre più di pericolo greenwashing che significa millantare uno sforzo ambientale senza dati scientifici a supporto, quindi approfittando dell’ampia superficialità di una comunicazione sempre più veloce o della probabile mancanza di competenza tecnica da parte dei cittadini.

A mio avviso il greenwashing può generare due effetti:
il primo, che ci auguriamo, è quello di essere identificato e quindi squalificare chi lo pratica, far in modo quindi che chi lo mette in atto resti impiccato alle proprie parole.
il secondo consiste nel danno che esso può provocare al mercato dei reali prodotti a basso impatto ambientale sia perché devono faticare più del dovuto nel farsi riconoscere e sia perché induce nel tempo i consumatori a diffidare dei prodotti green tout court. A fare cioè di tutta l’erba un fascio.

Come ci si difende allora dal circo linguistico delle parole?

E come ci si difende dall’uso di parole anche difficili in bocca a tutti?
A chi produce prodotti virtuosi consiglio di concentrare gli sforzi di comunicazione in due direzioni:

comunicare con esattezza e precisione i propri dati. Senza cadere in slogan facili e ambigui.
contribuire, se possibile, ad una maggiore alfabetizzazione di noi cittadini/compratori mettendo in gioco risorse e costruendo alleanze.

È solo con la cultura, sperando che la crescita di informazioni e dati ci renda tutti più attenti e non ideologicamente critici, che ci si difende dalle favole e dalle semplicistiche narrazioni della sostenibilità.

La sostenibilità è diventata una materia alquanto complessa e per ogni segmento da essa toccato è necessario approfondire.
Quindi la ricetta è studiare!
Lo so che non è un suggerimento POP ma solo se studiamo sapremo riconoscere il valore delle parole e la quantità di leggerezze menzognere che girano in rete (e non solo).

Non abbiamo altra difesa.
Il greenwashing si combatte con il sapere.

Una nota a margine
EthicsGO (Istituto Internazionale Indipendente per la comunicazione responsabile e certificata) ha siglato con UNI un accordo che prevede l’utilizzo del marchio di conformità UNI “Verified Claim” da parte di EthicsGo con l’obiettivo di garantire che asserzioni di sostenibilità e claim etici siano veritieri e verificabili sulla base di specifiche norme tecniche e prassi di riferimento pubblicate da UNI. Lo scopo di questa certificazione è quindi fornire la possibilità di avvalersi di uno strumento (con un metodo riconosciuto e condiviso) che attesti l’ammissibilità, la conformità, la veridicità di una campagna di comunicazione garantendo, nel contempo, ai consumatori la corrispondenza tecnico-scientifica tra il contenuto dei prodotti e dei servizi offerti e quanto dichiarato e affermato nella pubblicità/comunicazione.

1 Per fornire gli indirizzi applicativi, UNI e Accredia (Ente Italiano di Accreditamento) hanno pubblicato la Prassi di riferimento UNI/PdR 102:2021 “Asserzioni etiche di responsabilità per lo sviluppo sostenibile – Indirizzi applicativi alla UNI ISO/TS 17033:2020”, che individua gli elementi da considerare nel formulare un’asserzione etica di responsabilità per lo sviluppo sostenibile. Qui scaricabile

Illustrazione originale di Roberto Rubini.
Chi è Irene Ivoi? Conoscila nella nostra intervista qui.

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Irene Ivoi

Mi sono laureata in industrial design con una tesi di economia circolare nel 1992. L’economia circolare in quel tempo non esisteva ma le ragioni per cui avrebbe dovuto esistere mi erano chiarissime. E per fortuna sono state la mia stella polare. Da sempre progetto strategie, scrivo, parlo e penso per aziende e organizzazioni pubbliche e private.