Intervista a Denis Curti – Una storia dietro a ogni fotografia.

2 Settembre 2019
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2 Settembre 2019 Sottosopra comunicazione

Intervista a Denis Curti – Una storia dietro a ogni fotografia.

Denis Curti

Qui in Sottosopra Comunicazione siamo tutte appassionate di fotografia e nella maggior parte dei nostri progetti l’elemento fotografico è determinante per costruire una comunicazione sorprendente e memorabile.
In un’epoca in cui, complici Instagram &Co., ognuno di noi si sente ormai “un po’ fotografo” abbiamo voluto approfondire il tema con l’amico, critico fotografico e curatore di mostre, Denis Curti, oggi direttore di STILL Fotografia.
Cosa ci sta a cuore più di tutto? Iniziare a guardare le foto con un occhio meno rapido, con uno spirito e una consapevolezza più narrativi.
Lo stimolo è: meno social “usa e getta”, più storie da raccontare.
Chiacchierando con Denis, ci siamo soffermate proprio su quanto le storie siano fondamentali per rendere indimenticabile una foto.
Perché sì, la tecnica è importante, non c’è dubbio, ma una foto senza qualcosa da dire, rischia di rimanere un esercizio stilistico.

Perché una persona dovrebbe imparare a fotografare nell’era di Instagram, con filtri e App che fan tutto da sole?
La differenza sta nell’imparare a “raccontare” storie: se non hai qualcosa da raccontare, le foto risultano insignificanti. Fare una foto oggi significa condividere e trasmettere un’emozione: a volte saper raccontare qualcosa è l’elemento fondamentale e la tecnica è un “di più”, sicuramente importante, ma per “piegarla” alle tue necessità. Un po’ come in cucina se vogliamo: spesso si cucina anche e soprattutto per condividere un momento e ovviamente la tecnica aiuta, ma non è tutto.

Se non fossi diventato un critico d’arte fotografica, cosa avresti fatto?
Mi sarebbe piaciuto lavorare in tv e fare il conduttore, mi sento a mio agio davanti al pubblico.

A chi ruberesti il posto come conduttore?
A Fabio Fazio!

Quando sei passato dal fare il fotografo a fare il critico?
Quando fotografavo mi occupavo del processo iniziale, ma ero curioso di “vedere” cosa c’è dopo: cosa racconta una fotografia e che significato riesce ad assumere. Approfondire quel mondo insomma e poter dare un senso alle idee degli altri.
Ma soprattutto volevo scrivere e quel desiderio ha rappresentato la svolta: ho iniziato scrivendo le sceneggiature dei fotoromanzi per Grand Hotel, quelle in “100 frame”, un’impostazione che dà molta disciplina. Quando infatti iniziai a scrivere le recensioni per il Corriere in 26 righe, non riscontrai alcun problema, abituato alle “sceneggiature di ferro”.

Cosa cambieresti nel mondo della fotografia?
Cambierei le priorità: l’Italia paga il prezzo di essere un Paese con tantissima arte “mobile” e questo non gioca a favore della fotografia, che rispetto all’offerta artistica del nostro paese è l’ultima novità.
A causa di questa priorità conferita all’arte mobile, la fotografia viene vista come “l’ancella” di qualcosa. Ecco, chiederei agli storici che mi hanno preceduto di non interpretare la fotografia così, ma di vederla come il frutto di un processo creativo e dell’ingegno, come un’arte consapevole.

Cosa rende un fotografo un grande fotografo?
Deve appunto avere qualcosa da raccontare: senza una storia, non hai nulla, e poi deve essere consapevole di ciò che fa. I contributi più importanti sono arrivati da persone che facevano altro e che se ne infischiavano della tecnica, che non frequentavano nessuna scuola. Mi vengono in mente per esempio Robert Capa e Mario Giacomelli.

Cinque fotografi che bisogna conoscere.
Diane Arbus, un’artista che ha dichiarato più volte di essersi accorta di molte cose soltanto dopo averle fotografate.
Cartier-Bresson, i suoi sono racconti veri e propri, ha trasportato l’idea di foto in una dimensione letteraria.
Robert Capa, come sa emozionare lui, pochi altri, ed è merito suo se oggi esiste il copyright.
Richard Avedon, perché ha un’incredibile capacità innovativa, ha portato la fotografia di moda fuori dagli studi. 
Lewis Hine, un fotografo che nei primi del ‘900 percorse 80mila chilometri per denunciare il  lavoro minorile, abolito nel 1916 anche grazie alle foto che scattò. 

Still fotografia | Galleria e Scuola

Sta per “debuttare” la scuola di Still, l’Open Day è previsto per il prossimo 17 settembre, come mai quest’idea con tutta l’offerta che c’è?
Non sarà la classica scuola di fotografia: avrà come obiettivo quello di riempire i buchi formativi che abbiamo individuato nelle altre scuole, con delle Masterclass e dei Workshop su argomenti specifici, per esempio sul collezionismo, la fotografia 2.0 e simili. 
Tutto ciò avverrà all’interno del nuovo spazio Still a Milano, in Via Zamenhof 11, una location che ospiterà anche mostre ed eventi. Una grandissima scommessa per Still.

Chi insegnerà e quale formula/metodo formativo ci sarà?
Io in primis insieme ad altri docenti. Le Masterclass si terranno durante i weekend (tre weekend al mese per tre mesi) per consentire anche a chi non è di Milano di partecipare. Alla fine di ogni Masterclass verrà inoltre realizzato un progetto finale.

L’obiettivo di chi si iscrive qual è?
Approfondire alcune tematiche legate al mondo della fotografia: se vieni da noi devi avere già maturato esperienza. Le Masterclass e i Workshop completeranno un percorso formativo già avviato e saranno rivolti sia a giovani laureati che a figure professionali che vogliono riposizionarsi sul mercato. Le tematiche saranno parecchie e serviranno ai fotografi per mettere a fuoco trucchi e segreti per avere successo in ciò che fanno.

Qual è il tuo sogno nel cassetto? Qualcosa che non hai ancora realizzato e che vorresti fare?
Vorrei poter “entrare” nell’archivio di Diane Arbus per conoscere e scoprire più cose possibili su di lei. C’è una sua foto, Child with a toy hand grenade in Central Park, sulla quale vorrei farle una domanda. Ritrae un bambino con una granata in mano e l’espressione arrabbiata. Di quella foto scattò circa 12 pose: in 11 il bambino sorrideva, lei scelse proprio quella in cui invece appariva arrabbiato. Ecco, vorrei chiederle perché. 

Ti emozioni ancora quando vedi una bella opera fotografica o sei ormai troppo rodato dal mestiere e dalla conoscenza?
Mi emoziono, eccome. Vado avanti a lavorare proprio per questo.


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